Vacanze scolastiche troppo lunghe? Un danno per l’apprendimento e una difficoltà enorme per chi vive l’autismo
Ci sono problemi che si trascinano da così tanti anni che sembra quasi inutile discuterne ancora. Tanto si sa già tutto, tanto “è sempre stato così”. Si fa quasi a gara a chi la spara più grossa, e intanto nessuno affronta seriamente il nodo.
Eppure, nella sua apparente semplicità, il problema delle
lunghe vacanze estive scolastiche è oggi più attuale che mai.
Come tutti sappiamo il
calendario scolastico italiano prevede una
pausa estiva di circa 90 giorni, ovvero
quasi 14 settimane di interruzione consecutiva. A questa si aggiungono solo la pausa di Natale (circa due settimane) e quella di Pasqua (una settimana).
Negli altri Paesi europei la filosofia è diversa: l’idea di fondo è quella di
spezzare l’anno scolastico in cicli di apprendimento più brevi, intervallati da pause distribuite. In Francia ad esempio la pausa estiva è di circa 8 settimane. In Germania, Danimarca e Regno Unito, la pausa estiva dura circa 6 settimane.
Ecco perché, proprio oggi che il costo della vita è aumentato e le
difficoltà delle famiglie si sono ampliate, vale la pena tornare su questo tema.
Perché non è più solo una questione culturale o organizzativa: è diventata una
questione educativa, sociale ed economica. E riguarda ormai tutte le famiglie, anche quelle che prima riuscivano a cavarsela.
In Italia abbiamo l’estate scolastica più lunga d’Europa
In Italia le scuole chiudono a inizio giugno e riaprono a settembre inoltrato. Parliamo di oltre
tre mesi di vacanze scolastiche estive: la pausa più lunga d’Europa.
Dal punto di vista didattico, questa interruzione ha poco senso: ogni anno tutto il mese di settembre – e spesso anche una buona parte di ottobre – viene impiegato per
recuperare quello che si è perso.
Un tempo sprecato, che potrebbe essere usato meglio, con meno fatica e più continuità per studenti e insegnanti.
Una lunga pausa estiva... ma a favore di chi?
Nel frattempo, tantissime
famiglie italiane si trovano sole a gestire tre mesi di vuoto. E no,
non tutte hanno i soldi per mandare i figli in vacanza, ai campus, ai centri estivi. E nemmeno la possibilità di trovare qualcuno che li tenga, soprattutto se entrambi i genitori lavorano.
A chi risponde “la scuola non è un parcheggio”, rispondo con calma: verissimo. Ma nessuno sta chiedendo più scuola.
Stiamo solo parlando di
una redistribuzione più intelligente dell’anno scolastico. Come già fanno molti altri Paesi: vacanze anche in autunno e primavera, senza bloccare tutto per tre mesi d’estate.
Centri estivi: costosi, non inclusivi e con disponibilità limitata
Una delle risposte più comuni è:
“Ma ci sono i centri estivi”. Sì, ci sono. Ma
non per tutti.
Molti centri estivi sono a pagamento, e spesso con costi molto elevati. Un mese di centro può costare anche più di 400-500 euro a bambino. Se hai più figli o un reddito normale, diventa insostenibile.
E quando hai un figlio con
disabilità, le cose si complicano ancora di più.
Molti centri non sono attrezzati, oppure
non accettano bambini con bisogni educativi speciali. Quelli privati, legalmente,
possono rifiutarti senza problemi.
Quelli comunali o convenzionati, teoricamente, devono garantire accesso... Ma nella pratica,
offrono molto meno.
Se un bambino “normotipico” può frequentare il GREST per tutto il mese, un bambino con disabilità spesso viene ammesso solo per una o due settimane. Quando va bene, tre. E bisogna anche lottare per ottenerle: siamo ancora molto distanti dall'avere dei veri
centri estivi inclusivi.
Questo
non è equo. Eppure succede ovunque, ogni estate, e quasi nessuno ne parla.
Un'estate diversa è possibile anche in Italia
È vero:
durante l’estate non si può fare scuola come durante l’anno. Ma la scuola potrebbe comunque restare aperta in altri modi:
- Attività sportive e teatrali;
- Laboratori creativi o manuali;
- Corsi di lingua per studenti stranieri;
- Consolidamento per chi ha più difficoltà.
Una
scuola aperta ma flessibile, che non abbandona le famiglie per tre mesi.
Il vero ostacolo? Le priorità. E un sistema che si regge sui singoli
Il problema, spesso, è economico: servirebbero
più persone, più programmazione, e magari anche l’
aria condizionata nelle aule.
Eppure
i soldi ci sarebbero: con il PNRR sono stati sbloccati miliardi per l’istruzione. Peccato che molte risorse finiscano in progetti discutibili: visori VR, laboratori high-tech, attività scollegate dalla realtà di tante scuole. E comunque,
il PNRR è temporaneo: non risolve i problemi strutturali. Serve un
piano serio e a lungo termine.
C’è poi un problema ancora più grande: oggi
tutto dipende dalla singola scuola, o addirittura dal singolo insegnante. Sono dirigenti e docenti che devono cercare bandi, proporre progetti, gestire tutto.
Ma
un sistema scolastico non può basarsi sulla fortuna di avere qualcuno che si sbatte. La buona volontà non può essere la base dell’istruzione pubblica. E questo vale ancora di più per chi ha più bisogno.
Anche dove fa caldo… si va a scuola di più
Una giustificazione classica per la pausa estiva lunga è il caldo. “Fa troppo caldo per fare lezione.” Ma questo non vale più.
Anche Paesi caldi come
Malta, Grecia o Portogallo hanno vacanze estive più brevi della nostra. Nonostante le alte temperature, hanno deciso di
ridistribuire le pause, senza concentrare tutto d’estate.
Un tempo si diceva che tenere i figli a casa serviva a permettere loro di aiutare in agricoltura o nelle botteghe. Oggi quella logica non ha più senso. Anzi, rischia di
escludere proprio i bambini più fragili dalla possibilità di mantenere una continuità educativa.
La pedagogia è chiara: serve più continuità
Premetto che io non sono un esperto di pedagogia. Mi chiamo
Elia Caneppele e sono solo un papà. Ma da quando ho un
figlio autistico, ho imparato a informarmi.
Esiste un termine internazionale per questo fenomeno: Summer Learning Loss. È la perdita delle competenze durante l’estate, dovuta a una pausa troppo lunga. E non colpisce tutti allo stesso modo.
A essere più penalizzati sono i bambini che vivono in
contesti socio-economici svantaggiati, e soprattutto quelli con disabilità. Per loro è molto più difficile trovare esperienze formative estive adatte e accessibili.
Alla riapertura della scuola i bambini fragili spesso sono quelli che hanno perso di più. Nel caso dell’
autismo, significa anche
mesi di lavoro terapeutico compromessi.
Il cambiamento deve partire dal basso, cioè dalle famiglie
La verità è semplice:
chi lavora nella scuola non ha interesse a cambiare il calendario.
I sindacati tutelano giustamente gli interessi di chi ha la tessera: insegnanti, personale ATA, collaboratori scolastici. E il calendario attuale conviene a loro.
Ma allora chi
può far partire il cambiamento? Le famiglie.
- Le famiglie che vivono sulla pelle l’impatto delle vacanze estive troppo lunghe;
- Le famiglie che non vogliono vedere i propri figli perdere competenze ogni estate;
- Le famiglie che non accettano più una scuola pubblica a due velocità, dove tutto dipende dal territorio o dal dirigente di turno.
Un'ultima semplice domanda
Le vacanze scolastiche troppo lunghe non sono solo una tradizione da mantenere. Sono un ostacolo.
E allora torno alla domanda di partenza:
a chi servono davvero queste vacanze così lunghe? Ai bambini, o a qualcun altro?
Autore dell'articolo "Vacanze scolastiche troppo lunghe? In Italia sono un problema":